Il 12 marzo scorso, Marco Esposito e Alberto Zuliani hanno tenuto un seminario presso il Dipartimento di neuroscienze comportamentali dell’Istituto superiore di sanità, invitati dal direttore Enrico Alleva. L’argomento era “Trattamenti evidence based per bambini con autismo: indicazioni dal modello clinico di Una breccia nel muro”.

Alberto Zuliani ha descritto il percorso dell’Associazione, le caratteristiche degli interventi educativi attuati presso i due centri “Facciamo breccia” di Roma e Salerno, secondo l’analisi del comportamento applicata: intensità e globalità, personalizzazione, formazione e inclusione dei genitori, supervisione costante di terapisti, insegnanti (quando disponibili) e degli stessi genitori, uso di tecnologie, percorsi di sostegno psicologico alle famiglie, attività di inclusione dei bambini. Ogni anno i centri “Facciamo breccia” accolgono circa 100 bambini. Sono, dunque, un luogo ideale per la ricerca e lo sviluppo di soluzioni innovative. La ricerca è orientata costantemente sull’efficacia dei modelli clinici e sul loro miglioramento e, recentemente, sull’implementazione di applicazioni software per bambini con disturbo dello spettro autistico. I ricercatori dell’Associazione si sono confrontati costantemente con il contesto scientifico, partecipando attivamente, con propri contributi, alle principali conferenze nazionali e internazionali sull’autismo.
Esposito ha iniziato esponendo una breve rassegna degli studi sui modelli clinici degli ultimi dieci anni che si sono rivelati molto fecondi. Già nel 2005 Christina Corsello scriveva l’articolo “Early Intervention in Autism” descrivendo e confrontando i principali modelli d’intervento evidence based. Tra essi il modello UCLA e il Denver model, il primo basato sul metodo Lovaas si caratterizzava per l’insegnamento per prove discrete e la loro generalizzazione; veniva svolto in rapporto one-to-one con un terapista ABA e con la costante supervisione clinica; nel primo anno comprendeva obiettivi in diverse aree dello sviluppo (globalità), dall’imitazione al linguaggio espressivo. Il Denver model veniva offerto, invece, esclusivamente nelle scuole, per quattro-cinque ore al giorno e mirava all’incremento dell’affetto positivo e alla pragmatica della comunicazione, svolgendo le terapie in ambienti di gioco naturale. Partendo dai risultati dei modelli educativi comportamentali per l’autismo, sono state pubblicate successivamente importanti rassegne scientifiche. Nel 2012 Brian Reichow et al. scrivono un contributo dal titolo “Early Intensive Behavioral Intervention (EIBI) for Young Children with Autism Spectrum Disorders (ASD)”. Esso segna un vero e proprio spartiacque. Diventa evidente che il paradigma d’intervento precedente – con chiari elementi comuni pure nelle differenze di approccio – risulta vincente per l’incremento di abilità nei bambini con diagnosi di spettro autistico, specialmente per quelle adattive, sociali, di comunicazione e di linguaggio, per la riduzione della sintomatologia e l’innalzamento della qualità di vita. Vengono segnalati due aspetti di rilievo: il primo è che si registra una variabilità di risposta al trattamento da parte dei bambini; il secondo è che sono relativamente rari studi randomizzati, attraverso i quali si possono dare risposte scientifiche maggiormente fondate. Parallelamente, il gruppo di ricerca di Zachary Warren pubblica nel 2011 una “Systematic Review of Early Intensive Intervention for ASD” nella quale, ai due modelli già consolidati, viene aggiunto, fra gli approcci potenzialmente validi, quello basato sul Parent Training; questo getta nuova luce su alcune questioni cliniche, tuttora aperte all’interno del dibattito scientifico. L’evidenza, sebbene la metodologia impiegata negli studi specifici presenti alcuni limiti – da superare negli anni a seguire – è la seguente: le famiglie, se opportunamente formate, consentono importanti miglioramenti nei bambini riguardo a linguaggio, socializzazione e adattamento. L’inclusione dei genitori diventa quindi un must per l’Associazione che, nel corso degli anni, investe sempre più risorse nella formazione e supervisione dei famigliari del bambino, ottenendo ottimi risultati. Su di essi, nel 2012 pubblica l’articolo: Strauss, et al., “Parent Inclusion in Early Intensive Behavioral Intervention“. Nell’articolo viene dimostrata l’efficacia clinica di un modello d’intervento che coinvolge maggiormente i genitori, illustrandone vantaggi e limiti. Ad oggi, il lavoro conta più di cento citazioni da parte di altri ricercatori ed è diventato un riferimento per la ricerca sull’autismo. Nell’articolo vengono messi in luce due aspetti di rilievo: la variabilità di risposta dei bambini al trattamento (già nota in letteratura) e il carico di stress genitoriale che emerge specialmente quando la responsabilità del progetto educativo viene condivisa dall’équipe clinica con il genitore il quale entra così a far parte dell’équipe di trattamento.
Sul primo aspetto – la variabilità delle risposte dei bambini al trattamento – la letteratura scientifica ha individuato numerosi fattori esplicativi fra i quali, in primo luogo: l’età del bambino al momento del trattamento (bambini più piccoli ottengono migliori risultati; Granpeesheh, Dixon, Tarbox, Kaplan & Wilke, 2009; Harris & Handleman, 2000; Perry, Cummings, DunnGeier, Freeman, Hughes & Managhan, 2011); i livelli di abilità cognitive, adattive e di linguaggio presenti nei bambini, così come la gravità della sintomatologia all’inizio dell’intervento. Essi influenzeranno le performances dei bambini dopo i primi anni d’intervento (Darrou, Pry, Pernon, Michelon, Aussilloux & Baghdadli, 2010; Eikeseth et al., 2002, 2007; Hayward, Gale & Eikeseth, 2009; Remington et al., 2007; Sallows & Graupner, 2005; Sutera, Pandey, Esser, Rosenthal, Wilson & Barton, 2007). Ovviamente, anche l’intensività del trattamento rappresenta un importante predittore di successo (Reed et al., 2007). Sul secondo aspetto, l’insorgere di un livello elevato di stress genitoriale può rappresentare un punto debole dei modelli globali per l’autismo, poiché è stato dimostrato che esso è correlato alla sintomatologia e può contrastare i progressi dei bambini. Questa evidenza ha fatto sorgere qualche perplessità sull’inclusione dei genitori nel piano educativo.
Per i motivi precedenti, l’Associazione, già da alcuni anni, sta sperimentando soluzioni allo stress familiare, offrendo percorsi di sostegno psicologico e modificando il modello clinico, dando un taglio sempre più naturalistico al setting educativo. Sui risultati di queste iniziative sono stati sviluppati due lavori recenti: Ferrara R., Esposito M. et al., “Parental Stress in Autistic Parents: The Counseling Effects” e Strauss K., Esposito M. et al., “Facilitating Play, Peer Engagement and Social Functioning in a Peer Group of Young Autistic Children: Comparing Highly Structured and More Flexible Behavioral Approaches“, ambedue svolti in collaborazione con il team di ricerca dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù. Si tratta di prime osservazioni scientifiche sui comportamenti-cambiamenti dei genitori all’interno del piano educativo con l’intento, in particolare, di monitorare lo stress, valutare il co-parenting e la percezione di autoefficacia. Abbiamo rilevato che lo stress maggiore derivante dalla diagnosi è presente nella madre, che è anche, in generale, la persona che gestisce principalmente il bambino sia nell’ambiente di trattamento strutturato sia in ambiente ecologico. Abbiamo anche rilevato che il livello di stress delle madri si riduce significativamente dopo sei mesi di sostegno psicologico e che il rapporto con il partner migliora, pure significativamente, riguardo sia alla concordanza sulle scelte educative per il bambino sia alla qualità di vita della coppia.
Forti di questi risultati siamo partiti recentemente con il progetto “Con gli altri, come gli altri” per l’inclusione dei bambini e la crescita di consapevolezza positiva per le famiglie. Coinvolgiamo i bambini con autismo, i fratellini, cuginetti, compagni di scuola e tutta la famiglia in attività ludico-ricreative: gite sulla neve e presso fattorie didattiche, spettacoli cinematografici, per tutti; gioco degli scacchi e programmi di sport, al momento rugby e golf, per i bambini. Abbiamo in programma molte altre iniziative che possono aumentare il benessere della famiglia. Aiutare un bambino con autismo e non fare altrettanto con la sua famiglia è un buon lavoro ma resta un lavoro a metà.
La presentazione ha suscitato vivo interesse nei partecipanti che hanno chiesto di poter svolgere ulteriori approfondimenti in occasioni successive.

Marco Esposito, ricercatore e supervisore clinico dei centri “Facciamo breccia” di Roma e Salerno